Era un uomo irriverente che si faceva sorprendere spesso nei suoi esercizi di disperazione.
La sua irriverenza [salvifica per lui] era il tentativo di capovolgere i canoni di cui tutti quanti siamo in qualche modo schiavi, e si sforzava di eliminare le convenzioni delle quali la società si serve per addomesticare il selvaggio che c'è dentro ognuno di noi.
Nei suoi esercizi di disperazione lanciava un grido a quella parte del suo io che cercava risposte che non trovava, che non voleva trovare, oppure che faceva finta di non trovare ingannando se stesso. Espelleva le scorie di un pensiero ricognitivo sulle sue esperienze passate attraverso parole sguaiate, apparentemente disordinate, che gli venivano restituite in un'eco invisibile già vissuta più volte. La carica delle sue oscenità e delle sue scabrose allucinazioni, le sue intense visioni erotiche, erano lì, nella sua mente, per soffocare i rottami di un passato che lo indignavano e che congestionavano la sua vita, sotto scacco di una follia controllata dalla quotidianità.
Forse voleva solo ingannare la morte, cambiarle maschera, capovolgerla, esorcizzarla e svuotarla della sua insensatezza, cercando la chiave del delirio di vivere.
Con i suoi esercizi di disperazione accettava di giocare con la realtà e ci ballava in libero disordine intellettuale, per evadere da se stesso e riconfermarsi nel vuoto, nel nulla, in quel niente che aveva trasformato i suoi sogni in cupe e tragiche esasperazioni della realtà.
Ora non lo vedo più, non so più nulla di lui, nessuno sa nulla. Non ho mai capito fino in fondo se questi esercizi di disperazione fossero solo degli stratagemmi per riscattarsi da una realtà non voluta di cui si era sentito vittima, oppure erano solo una nuova forma di evasione da una certa incapacità di vivere; quello che è certo è che accettava di trasformarsi in un tragico giocoliere pur trovandosi di fronte ad un deserto, a delle rovine, alla morte.
©Liolucy