28 agosto 2024

Reprise

 


La vita è una farsa,
il mio pallido amore 
vaga su foglie morte

E più tardi,
non può esserci che
la fine del mondo



                      ©Liolucy


26 agosto 2024

Fingere

 
eojnvo vjoifhv, slnvnprpt,
arjonvono zpivbi. 
qplnvn kjbyovl,
qpfnvnruo
bnosntru haàpljf,
slknotirop.
h.



©Liolucy

7 agosto 2024

La Poesia Più Difficile

 

Il cielo si rifugia in
un antico pianto
e vedo volti intrappolati
in scuciture di realtà 
che macerano la mente
prigionieri di aridi gesti
di invisibili finzioni
di falsi pudori
L'anima libera
è la poesia 
più difficile


                                ©Liolucy

30 luglio 2024

Rimembranze Estive - capitolo 3 - Quella volta che...

 



Eh sì, mi piaceva un mondo il tennis ed ero sempre alla ricerca di giocatori o giocatrici con cui condividere la mia stessa passione. Di ragazze della mia età che giocassero in modo decente non ce ne erano nella mia zona, e così molto spesso mi ritrovavo a sfidare i maschietti, che si divertivano con me perché li facevo sudare, li facevo correre con i miei tiri tesi ed incrociati e anche con il mio rovescio micidiale che li lasciava allibiti. Il rovescio era il mio colpo migliore, però difettavo nel servizio che non era un granché. 

A quei tempi - parliamo dei miei diciasette anni - mi ero aggregata ad un piccolo gruppetto di appassionati che frequentavano i campi (tra cui anche il sindaco del paese con cui parlavo spesso anche di politica) e ci organizzavamo per disputare dei doppi o piccoli tornei amatoriali. Nacquero amicizie spensierate e allegre che durarono solo il tempo di una stagione. Legai in modo particolare con una coppia che aveva anche una figlia, una bambina di circa sei anni, bellissima. Erano persone molto gradevoli nei modi di fare e nello stare insieme agli altri, socievoli. Il marito, che ora chiamerò Ivo (un nome inventato, preferisco non scrivere quello vero) era un uomo di circa 30 anni, esempio di bellezza mediterranea di cui lui era consapevole, gestiva con successo alcuni negozi di calzature. La moglie, sua coetanea e che chiamerò Yvette, si occupava del lato burocratico della loro impresa. Yvette era una bella donna, capelli lunghi mossi, occhi scuri, era davvero fascinosa ma non se ne vantava. Caratterialmente era dolce, una meraviglia, ci andavo molto d'accordo e la ricordo con tenerezza. Ivette però si era scelta un marito che faceva il piacione perché evidentemente si riteneva un uomo belloccio. Al di là del giudizio prettamente estetico però io non ci vedevo nulla di affascinante in lui, anche perché era molto vanitoso, si pavoneggiava e molte volte faceva ingelosire sua moglie di proposito. Non erano punti a suo favore ai miei occhi. Primo, perché i miei occhi non si fermavano - e ancora tutt'oggi non si fermano - solo all'aspetto esteriore di una persona. E secondo, perché ci tenevo molto al benessere della mia amica Yvette.

Una volta andai a casa loro di prima mattina come avevamo stabilito, perché dovevamo recarci tutti insieme fuori provincia per partecipare ad un torneo al quale ci eravamo iscritti. Quella mattina Ivo e Yvette cominciarono a litigare e anche se io mi facevo sempre i fatti miei, capii che lei lo accusava di fare il galletto con altre donne e che faceva lo stronzetto con lei. Alla fine si riappacificarono perché Ivo sapeva come prendere Yvette e come farsi perdonare delle sue mascalzonate. Yvette, da quella mattina cominciò a confidarsi con me ed io la ascoltavo interessata  e curiosa. La nostra amicizia diventò sempre più stretta e affettuosa, con mio sommo piacere. 

Intanto tutto procedeva per il meglio nel nostro gruppetto di appassionati, ci divertivamo tutti insieme, uscivamo nei sabati sera, e una volta partecipammo anche ad una festa privata in maschera che si svolse in un antico palazzo barocco. In quell'occasione io mi vestii da uomo. Un bel paio di baffi,  i capelli lunghi raccolti  e nascosti sotto un cappello a tesa larga, calzoni alla zuava, camicia, gilet, fucile e in cintura un porta cartucce; insomma mi ero travestita da brigante. Ma non partecipai più di quel tanto ai festeggiamenti, smangiucchiai qualcosa al buffet, origliai qualche discorso (noioso) e subito dopo sgaiattolai fuori dal salone. Sola soletta andai ad esplorare le stanze del palazzo, con le stelline negli occhi e il cuore palpitante alla vista di cotanta beltà. Dipinti, stucchi, tendaggi, pareti, pavimenti, scalinate, tutto era meraviglioso. Persi la cognizione del tempo e mi incantai ad ammirare quelle stanze sontuose, sembravano non finire mai.  Mi risvegliai dal sogno ad occhi aperti solo quando cominciarono a scoppiare i fuochi d'artificio che fecero da cornice finale alla bellezza del posto, tra alberi secolari e giardini da favola. Serata indimenticabile.

Poi successe un fatto abbastanza increscioso che mi costrinse ad allontanarmi dall'allegra brigata. Il fatto è questo:

Ivo e Yvette mi invitarono ad andare nel loro negozio per scegliere delle scarpe che intendevano regalarmi per dimostrare la loro amicizia e la simpatia che nutrivano per me; io ero la piccola del gruppo e mi coccolavano. "Vieni quando vuoi.  Se non ci sono io perché magari sono impegnata con la bambina, troverai sempre Ivo che ti saprà consigliare" mi disse con entusiasmo la mia amica Yvette.   Detto fatto.   Una sera, sul far del tramonto, mi recai in negozio e il caso volle che fosse presente solo Ivo. Mi mostrò qualche modello sportivo, mi parlò anche di altre cose e mentre chiacchierava a ruota libera, repentinamente e con mossa da giaguaro spense le luci dal quadro generale e mi baciò sulla bocca stringendomi a sé. Nell'attimo rimasi  sbalordita, poi mi divincolai e istintivamente mollai un ceffone a Ivo con tutte le mie forze e gli dissi solamente "ma come ti permetti?". Lui mi guardò un po' sorpreso, riaccese le luci mostrando un sorriso sbilenco e imbarazzato mentre io  mi  precipitai fuori dal negozio con molta rabbia addosso. 

Dopo quell'episodio chiusi i legami con il gruppo e smisi di frequentare quei campi da tennis, né tantomeno mi azzardai a raccontare qualcosa a Yvette, non volevo procurarle ulteriori dissapori col marito, e devo dire che mi dispiaceva che si fosse innamorata di un uomo che non la rispettava. Non rispettava lei e neppure la bambina. Era uno stronzo. Ma l'amicizia con Yvette non finì, ci vedemmo ancora e durante i nostri incontri mi confidò  delle sue sofferenze con il compagno. Poi i nostri appuntamenti si diradarono sempre di più fino ad annullarsi. In quel frattempo lei e il marito  caddero in crisi profonda. Dopo circa un anno venni a sapere da terzi che Yvette si era lasciata con Ivo e che si era trasferita in una casa più piccola insieme alla bambina, con tutte le difficoltà del caso. Un destino già scritto, la loro separazione non mi stupì e pensai che in fondo il loro distacco non fosse altro che una liberazione per Yvette. Le telefonai, lei mi diede il suo indirizzo invitandomi ad andarla a trovare quando si sarebbe sistemata per benino, ma per quel momento era molto affranta. Non la risentii mai più, la vita e la scuola mi trascinarono verso altri lidi e altre nuove conoscenze.        Dolcissima Yvette, sono sicura che tu abbia trovato un compagno degno della tua bellezza interiore e della tua avvenenza, e sappi che mi sei rimasta nel cuore. Sei stata una piccola gemma che ha illuminato la mia adolescenza.

Per quanto mi riguarda, fu la primissima volta che diedi uno schiaffo ad un uomo (ci fu anche un'altra occasione) e la cosa non mi piacque per nulla, perché ho sempre tenuto in gran conto l'altra metà del cielo ed ho sempre pensato che il volto di un ragazzo o di un uomo vada accarezzato da una donna. Ma se ero arrivata al punto di schiaffeggiare Ivo significava  che quella metà di cielo che lui rappresentava aveva mostrato le sue miserie.  Devo anche aggiungere che da allora capii che con certi uomini non potevo pretendere un'amicizia semplice e sincera, era praticamente impossibile, era come pretendere la Luna in un bicchiere.   Qualche tempo dopo capii anche che ero un pochino addormentata, nel senso specifico che fino ad allora non avevo compreso che alcuni uomini mi guardavano in una certa maniera.

Quando ricominciai a giocare a tennis lo feci solo con i miei coetanei o con amici di poco più grandi di me, o con il mio maestro di tennis. Oppure, in mancanza di queste occasioni e nei casi di bisogno impellente, giocavo in solitaria facendo rimbalzare la pallina contro un muro e ripercorrendo con la mente le imprese passate di Adriano Panatta o gli incredibli match di Bjorn Borg. 


-Lu

26 luglio 2024

Rimembranze Estive - capitolo 2 - Andrea






Sono in banca e mentre aspetto il mio turno, mi viene incontro un uomo brizzolato, ben vestito. Mi guarda dritto negli occhi, si sofferma, mi sorride ed esce.
Dove lo avevo già visto? Quel volto non mi era sconosciuto. Mentre mi faccio questa domanda, il Signor Cervello attiva i neuroni assegnati alla modalità "ricordi adolescenza" ed ecco che mi manda un'illuminazione. Ma certo, si trattava di Andrea, i suoi occhi ridenti inconfondibili che sembravano nascondersi tra le sue lunghe ciglia erano il dettaglio rivelatore. Andrea, il ragazzo della partita di tennis sospesa tra memorie buffe e timidezze arlecchine, una partita di tennis mai disputata!
I ricordi arrivano a cascata. - [Hey! calma, calma, cerchiamo di fare ordine; Signor Cervello capisco l'entusiasmo per il suo lavoro ben fatto, ma mi dia il tempo di mettere a fuoco tutti i particolari. Ecco. Ci sono.] 

Andrea era il figlio di un'amica di una fotografa di nome Erica. Erica, conosciuta ad una piccola mostra, mi convinse di prestare il mio viso e i miei occhi a qualche suo scatto dicendomi che li riteneva molto interessanti e mi fece un piccolo servizio fotografico. Nacque subito un'amicizia breve ma sincera, senza che la differenza d'età potesse influire sul nostro rapporto. Erica aveva circa 30 anni ed io 14/15  Mi è sempre piaciuto  rapportarmi con persone più grandi (uno stimolo intellettuale importante per me) e in più anche a me piaceva scattare foto; erano i tempi in cui mi dilettavo con una macchina di mio padre che a tutt'oggi conservo come una reliquia. Ma quando osservavo le armi del mestiere di Erica ne rimanevo affascinata e mi piaceva respirarne l'atmosfera. Ci unì la fotografia e la simpatia che provavamo una per l'altra.  Ebbene, per un certo periodo di tempo io e Erica uscimmo insieme per divertirci un po', e a noi si aggregarono altre due presenze: una mia coetanea e un'amica più grande di Erica di cui ora mi sfugge il suo vero nome, ma la chiamerò Maria.
Maria era separata dal marito e aveva un figlio della mia stessa età di nome Andrea, un bel ragazzo moro con occhi scuri, molto bellino, che sua madre spinse ad uscire con me.  Io piacevo a Maria e mi spiegò che Andrea era un po' timido e che le avrebbe fatto piacere se io e lui ci fossimo frequentati in amicizia.   In verità lei sperava che tra noi potesse scoccare una scintilla scintillosa, di quelle che fanno svolazzare le farfalle nello stomaco, e sperava anche che suo figlio potesse diventare un po' più disinvolto con le ragazze. 
E così, Maria un bel giorno me lo presenta, ed io e Andrea ci mettiamo a parlare del più e del meno, un pochino imbarazzati. Il discorso cade sulle passioni sportive. Io  era un'appassionata di tennis, ma un'appassionata attiva in quanto  prendevo lezioni da un maestro e giocavo quasi tutti i giorni, ero una vera patita, compravo anche le riviste specializzate, e i miei idoli erano Panatta, Borg, McEnroe e un altro giocatore americano di cui non ricordo il nome - [Hey, Signor Cervello, abbiamo delle difficoltà a ricordare i nomi, eh!? Vogliamo prendere in considerazione una cura di fosforo?] 
Ah no, eccolo il nome, ce l'ho.  L'altro tennista che mi piaceva era Connors! - [Informazione pervenuta. Il Signor Cervello non ha voluto sfigurare.] 
Anche Andrea mi dice di saper giocare a tennis e poi basta, il nostro dialogo termina nel giro di qualche minuto per fare spazio a scena muta. Sennonché, da lì a qualche giorno Maria mi invita ad organizzare una giocata insieme ad Andrea. Io accetto volentieri. Figuriamoci, appena si parlava di tennis mi venivano le stelline agli occhi e se mi si chiedeva di giocare avrei accettato di farlo anche con un extraterrestre e negli orari più assurdi tipo alle tre di notte, al buio e senza luna in cielo. E così, dopo aver ricevuto questa proposta e averla accettata con entusiasmo, mi offro per prenotare il campo da tennis, mi accordo con Andrea e il pomeriggio stabilito inforco il motorino, racchetta a tracolla, e mi avvio tutta pimpante e carichissima per incontrarmi a metà strada con lui per poi proseguire insieme fino alla meta.  Ma durante il tragitto, ad un incrocio  il mio sfidante tennistico riconosce alcuni suoi amici (anche loro motorizzati) e si ferma a sparlottare con loro. Cosa avranno da dirsi? Io attendo dall'altra parte della strada e dopo cinque minuti Andrea mi raggiunge e mi comunica con un certo imbarazzo che non potrà seguirmi perché deve recarsi urgentemente in un posto con i suoi amici, senza aggiungere altri dettagli. Mi promette timidamente che sfrutteremo un'altra occasione e mi saluta in tutta fretta. 
Ok, gli dico, match sfumato ma non c'è problema, sarà per un'altra volta. 
Un'altra volta non c'è mai stata. 

Quando sua mamma seppe dell'accaduto si arrabbiò moltissimo con suo figlio, mi disse stizzita che Andrea si era comportato malissimo con me e che non doveva piantarmi in asso in quella maniera. Era davvero contrariata e regalò a suo figlio degli epiteti non molto simpatici, e non si risparmiò di dire che suo figlio era un co.... ops! beh, ecco non si risparmiò di dire che era come uno di quei cosi che pendono nelle parti basse degli uomini. Io la ascoltavo muta e un po' divertita, secondo me non era successo nulla di tragico.  A me dispiacque solo di non aver potuto giocare a tennis, del resto con Andrea ci eravamo appena conosciuti. Conosciuti? Si fa per dire. Parlavamo poco e al di là del fatto che lui fosse abbastanza carino non scattò qualcosa di più, diciamo che lui mi era neutro e penso che fu una cosa reciproca.  Devo riconoscere però che per essere timido, Andrea lo era per davvero e parecchio. Dopo l'episodio della partita andata a monte Andrea mi chiese un altro appuntamento tennistico ma in quell'occasione io declinai l'invito, e fu così che ci perdemmo di vista definitivamente e senza alcun rimpianto.

Ed Erica che fine aveva fatto? Erica partì per Milano, mi disse che aveva un'occasione professionale da sfruttare, e in men che non si dica raccolse le sue cose e si trasferì nella capitale della moda. Era fatta così, sempre pronta a spostarsi, con le valigie in giro per casa e gli armadi sottosopra. Io e Erica non ci siamo mai più riviste da allora, e non ho mai più saputo nulla della sua avventura professionale, ma aveva certamente le carte in regola per farsi apprezzare nel mondo dell'arte fotografica. Era molto brava con i giochi di luce e catturava l'istante fuggente con quello spirito curioso che sa scavare nei particolari.

Andrea, dolce e timido Andrea, ora ho capito perché in banca mi hai sorriso! Mi hai riconosciuta e forse anche a te è venuta in mente la nostra fugace conoscenza che più fugace di così non poteva essere. Una vera fuga da parte tua, senza la -ce finale. Beata gioventù. 

"Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia...". 
eccetera, eccetera, eccetera, e ancora eccetera..


-Lu